Generazioni a confronto: il team building come metodo inclusivo

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Sempre più spesso ci troviamo di fronte a parole come “Generazione X, Z, Millennials, Baby Boomer”. Esse sono definizioni date in sociologia per classificare un gruppo di individui nati in una stessa epoca storico-culturale e quindi influenzati in linea di massima dagli stessi grandi avvenimenti storici, cambiamenti culturali e tecnologici, ed eventi sociali. Di conseguenza tale gruppo di individui avrà una prospettiva del futuro, un rapporto con il denaro e con la tecnologia abbastanza simile.

Ovviamente anche l’approccio con il mondo del lavoro risulterà differente tra un individuo nato negli anni ’60 (classificato come Baby Boomer) e uno nato nel 1979 (Generazione X).

Un individuo classe 1960 che ricopre un ruolo manageriale lo ha probabilmente ottenuto con stacanovismo e decine di anni di seniority; se entra in relazione con un suo pari che però appartiene alla Generazione Y, detta anche Millennial (1981-1996) -che avrà sostenuto colloqui per il posto manageriale in seguito a Lauree, specializzazioni e Master Universitari internazionali piuttosto che dopo anni di esperienza-, possiamo ben capire che la comunicazione e gli approcci lavorativi e decisionali saranno spesso in conflitto tra i due. I punti di vista, le esperienze differenti di vita, le aspettative nei confronti della propria carriera, condizioneranno inevitabilmente il modus operandi di questi due individui cresciuti in epoche differenti.

Si deve dunque evitare questo divario? La soluzione dovrebbe essere la compartimentalizzazione lavorativa in base alle fasce d’età? Sembra più logico e anche più utile invece cercare di fondere le due (e più) generazioni in un environment inclusivo e che permetta a una di trarre vantaggio dall’altra.

Per percepire, analizzare e sfruttare questi divari generazionali a favore dell’azienda, prendiamo in analisi il suggerimento di una realtà come quella della Made in Team che di questi episodi ne riscontra quotidianamente da oltre 14 anni.

Lasciamo la parola ad Emanuele Doria, founder di questa agenzia specializzata in organizzazione di eventi aziendali e attività di team building. Ci racconta quali conclusioni ha tratto dalla propria esperienza.

Il Team Building è un ottimo strumento integrativo alla formazione aziendale, e viene richiesto dai clienti per impegnare dalle due ore all’intera giornata durante i meeting o convention aziendali, che solitamente hanno cadenza annuale o semestrale (in base all’essere più o meno avvezzi a queste pratiche delle aziende ndr). Le attività che proponiamo sono di formulazione differente: attività en plain air come cacce al tesoro, orienteering o soft outdoor, attività al chiuso come una cena con delitto o un drumming, fino ad attività con finalità socialmente utili come il progetto Giochi per l’Africa. In qualsivoglia di queste attività di formazione esperienziale è possibile analizzare questo fenomeno delle generazioni a confronto.

I gruppi, in questi team building, vengono normalmente assemblati di proposito in maniera casuale o comunque con l’obiettivo di separare i colleghi che normalmente lavorano insieme; questo permette ai team trainer o ai formatori-psicologi di rimuovere quella comfort zone che altrimenti ostacolerebbe le dinamiche che devono invece emergere.

“Abbiamo notato che nonostante alcuni elementi fossero manager o parte della Direzione, non venivano rispettati da alcuni elementi più giovani (sia in termini di età sia in termini di seniority) a causa dei loro modi autoritari nel dare indicazioni.

A lavoro spesso questa dinamica non emerge perché per quanto non venga condivisa una scelta o un metodo comunicativo, si è comunque al di sotto del “tetto aziendale” e non ci si sente a proprio agio nel dissentire da un caposettore. Uscendo dalla routine lavorativa invece, ed affrontando prove completamente diverse dal campo d’azione di ognuno, si innesca la libertà di pensiero e di espressione. Grazie a questo fattore si possono individuare i malesseri di fondo che sono presenti in azienda e vedere come questi possano appianarsi grazie all’attività di team building.

“Nel suddetto caso abbiamo potuto assistere all’azione di un giovanissimo manager, appartenente alla generazione Millennial, che ha percepito questo astio di una sua collega sottoposta (classe 1978, quindi Generazione X) nei confronti di una collega della Direzione (Baby Boomer) e ha impiegato ogni sua forza nel coordinare le due durante le attività, nonostante la loro iniziale resistenza. Prova dopo prova, è riuscito a comunicare fruttuosamente con l’una e con l’altra, e a risolvere dunque un malessere che in ufficio non sarebbe emerso, in quanto le due – per ruolo e tempo – non si sarebbero mai ritrovate in uno stesso gruppo di lavoro.

Al termine dell’attività il team in questione è risultato il vincitore del maggior numero di prove.

Cosa ne deduciamo dunque?

L’innescarsi di una comunicazione efficace ha permesso al team intero di sfruttare sia le indicazioni ed i suggerimenti dell’elemento senior, sia le idee innovative e la rapidità dell’elemento più giovane; per altro grazie all’azione di un terzo soggetto appartenente ad un’ulteriore diversa generazione.

Quando si parla di Team building si parla dunque di un metodo, che vede la formazione esperienziale come basilare per la crescita personale e l’instaurazione di migliori rapporti che, come abbiamo analizzato, riguardano anche il divario generazionale.

Ogni generazione ha vissuto un’epoca che l’ha determinata, e ognuna può trarre insegnamento dall’altra. Il team building può essere quell’attività di inclusione anche generazionale di cui le aziende necessitano per sfruttare al meglio le qualità dei propri dipendenti di tutte le età.

Redazione
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